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Il progetto nelle immagini: il rischio dell’omologazione e il bisogno di distinguersi

Durante i miei studi di architettura ogni anno ci veniva assegnato un progetto che durava per tutto l’anno accademico. Era un esame molto importante che iniziava in settembre e doveva essere concluso per luglio dell’anno successivo. Ogni anno si lavorava su una tematica diversa come un complesso residenziale, una biblioteca, un centro commerciale, una piazza e così via. Ogni anno cambiava anche il docente ma la cosa che sicuramente ha segnato il mio modo di lavorare, anche se non faccio l’architetto, è il metodo che ho appreso in ognuno di quei cinque laboratori.

Per prima cosa ci si doveva recare sul posto scelto dal docente per iniziare a conoscere il luogo, attraverso una documentazione di semplici fotografie o disegni. Capitava spesso di fermarsi a chiacchierare con qualcuno del posto, di fermarsi a mangiare o di tornarci nelle settimane successive da soli. 

Poi si tornava in laboratorio e iniziava una vera e propria fase di ricerca storica sul territorio attraverso mappe, scritti, libri e riviste. La ricerca proseguiva riflettendo su come i grandi architetti della storia avevano risolto problematiche simili a quelle alle quali ci stavamo approcciando di volta in volta, questi venivano chiamati riferimenti.

Solo dopo aver conosciuto il luogo, studiato la storia e scelto dei validi riferimenti si iniziava a progettare. Passavano alcuni mesi da quando si partiva con una progettazione di massima fino al dettaglio degli infissi o dei pavimenti fino alla conclusione del progetto e dell’esame.

Perché parlo di questo in relazione alle immagini che descrivono una struttura ricettiva o un’architettura? 

Perché ritengo che le immagini che raccontano, descrivono e suscitano idee di un luogo siano di per sé parte di un progetto. Se il committente e il fotografo non hanno idea e controllo di quello che stanno facendo stanno perdendo e lasciando al caso il controllo dell’immagine di quel luogo. 

Per questo ritengo fondamentale la conoscenza prima di iniziare un lavoro fotografico, per definire una strategia dei concetti che devono essere toccati e espressi nel lavoro.

Anche se una azienda turistica non vuole caratterizzare la propria immagine con una strategia lo sta già facendo

Come per la strategia aziendale nessuno può decidere a priori di non dotarsi di un’immagine della propria azienda. Ogni giorno vengono viste e veicolate molte immagini di ogni struttura turistica e questo contribuisce a formare un’identità di come questa azienda opera. Se questa strategia non è condivisa si sta operando senza una consapevolezza di quello che si sta facendo. 

La fotografia non è di per sé una copia uguale della realtà

Qualunque immagine, bella o brutta che sia, rappresenta una prospettiva personale sul mondo di chi la sta realizzando. Anche una telecamera di sicurezza segue delle regole ed è stata posizionata in quel punto specifico perché copra una certa area. Non c’è nulla di automatico: qualcuno deve sempre scegliere un punto di vista. 

Immaginario collettivo e omologazione

Se non si conoscono i propri punti di forza e non sono chiari i valori sui quali lavorare diventa facile cadere nell’omologazione e in immagini tutte uguali tra una azienda e l’altra. Per questo diventa necessario capire cosa si vuole dire e a chi lo si vuole comunicare.

Le immagini che accompagnano questo testo sono state realizzate per Villa Enrosadira di Moena che ha un importante legame con il territorio ed è caratterizzata da uno specifico tipo di clientela.